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Un trip andato male

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Wisconsin Death Trip

L’ultima decade del 1800 è particolarmente dura con Black River Falls e l’intera contea.
La piccola città del Wisconsin, già nata sotto una cattiva stella, attraversa un periodo di inverni molto rigidi, disoccupazione alle stelle, episodi di violenza e omicidio, un aumento dei casi di follia e omicidio in un susseguirsi di tragici eventi che lasciano il paese devastato sia fisicamente che mentalmente.

Violenza e possessione diabolica, morte e fantasmi, incendi e follia, epidemie e omicidi si alternano con costanza trasformando per qualche anno la contea in un vero e proprio regno del terrore.

James Marsh, partendo da un libro di Michael Lesy, recupera un impressionante insieme di foto d’epoca scandagliando sia gli archivi del quotidiano locale che quelli di un fotografo professionista che al tempo lavorava in quella zona (e i documenti del Mendota Asylum for the Insane) e mischia il tutto a ricostruzioni di alcune scene e momenti che invece riguardano la Black River Falls dei nostri giorni, regalandoci un impressionante ritratto di un Male che appare insieme ben più tangibile e spaventoso di mille mostri dei film horror e, al contempo, appartenente alla stessa loro natura soprannaturale.

Wisconsin Death Trip

Si potrebbe cominciare dalle parole, si dovrebbe sempre cominciare dalle parole, perché sono magiche e definiscono il mondo.
E, elemento da non sottovalutare, definiscono chi le usa, che è poi la più grande lezione che ci regala il politically correct.
Quando sento la parola “negro”, essa non solo è evocativa di una certa figura e condizione, ma mi aiuta molto anche a comprendere la persona che l’ha pronunciata e, sommata a vari altri elementi, a scegliere se frequentarla o meno in futuro, e così via.

E si potrebbe quindi provare, dopo tutti questi anni, a tentare di impiegare molto meno, io per primo, il termine “documentario” (e, di conseguenza e per altri casi, il mediocrissimo “mockumentary”) in favore di “film”, credo che descriverebbe in modo ben più adatto le produzioni di persone come James Marsh, Kurt Kuenne, Bill Morrison o  Lucien Castaing-Taylor e Verena Paravel.

Un Marsh che, come ha scritto meglio di me un mio contatto Facebook, crea un “horror suo malgrado”, si trova in quella zona narrativa che è compresa fra l’evil comes to town e il generico contagio, soprannaturale o meno, e man mano che scorrono immagini e titoli, documenti e fotografie il “tratto da una storia vera” viene quasi dimenticato, pensiamo di trovarci di fronte a una ottima narrazione fantastica e non potrebbe sorprenderci qualche rivelazione finale contenente antichi cimiteri indiani o vecchie maledizioni che avvelenano intere città.

Wisconsin Death Trip

I dieci anni terrificanti vissuti da Black River Falls, condensati nei 76 minuti di Wisconsin Death Trip, sembrano quasi una parodia dell’horror e ci troviamo di fronte a un film per il quale la nozione di “basato su eventi reali” assume una funzione totalmente diversa rispetto al solito, in quanto diventa una sorta di àncora che ci impedisce di pensare “che sceneggiatura assurda, dai, che esagerati, fanno accadere troppe cose, non ci si crede”, ed è pensiero che non vale solo per la successione dei vari fatti ma anche per quanto riguarda la gestione psicologica dei personaggi.

Figure come la ex-maestrina amante della cocaina che gira la contea a distruggere un quantitativo incredibile di finestre e vetrine; i due ragazzini che uccidono un contadino e poi vivono per un po’ nella sua fattoria in un clima quasi fatato, sospeso fra anarchia e crimine o infine la cantante d’opera famosa, che un tempo calcava le migliori scene parigine e ora, povera e dimentica, si reca in “esilio” nel paesino allestendo insieme al figlio spettacoli di dubbio gusto paiono decisamente sopra le righe e “scritte male”: saperle reali e vissute ti lancia invece dentro una dimensione parecchio anomala e rara, vederle poi “interpretate” da attori aggiunge ancora più smarrimento, in un intenso gioco di specchi.

La suspension of disbelief che dovete attuare nei confronti di Wisconsin Death Trip è in sostanza completamente opposta a quella di solito utile nei confronti delle opere fantastiche: bisogna evitare di pensare “è un evento chiaramente soprannaturale” per godersi ancora di più le vicende narrate invece che incappare talvolta nel “no dai, a questo non ci credo” che è la rovina di molti horror/fantasy.

Wisconsin Death Trip

E così come il primo tipo di sforzo riguarda la nostra volontà e fantasia, il secondo poggia sulla cultura che abbiamo, su sociologia, psicologia, statistica, antropologia e altro ancora che ci permettono di inquadrare l’assurdo picco di quegli anni dentro i binari dell’accettabile e del possibile, ma la meraviglia di fronte alla successione degli eventi, specie per come è ben orchestrata dal montaggio di Jinx Godfrey, nome che spunta sempre di più in opere che mi hanno affascinato, è davvero intensa.

Le immagini sono aiutate da un insieme di testi che da un lato rimandano giustamente al cinema muto e dall’altro ci guidano e preparano al contenuto di ogni singola “stagione” della follia, mentre non credo di dover spendere più di tante parole per la musica impiegata: Dj Shadow e John Cale non hanno bisogno di presentazioni da parte mia e sono perfetti per l’atmosfera che lentamente, vicenda dopo vicenda, si crea in una delle opere dal titolo più azzeccato di sempre. Sì, siamo nel Wisconsin; sì, si parla di morte e sì, pare un viaggio nello spazio, nel tempo e nella lisergia.

C’è un altro elemento che ci aiuta a non buttarla sul paranormale, ovvero gli inserti riguardanti la comunità contemporanea, le sue abitudini, festività, accadimenti: sono sì di gran lunga le immagini meno “potenti” dell’opera, sia dal punto di vista estetico che per quanto riguarda quel che avviene, ma ci ricordano a intervalli che quanto è accaduto potrebbe facilmente ripetersi, magari non con quel furore perché i media detterebbero ben altra attenzione istantanea, ma potrebbero ripetersi e appartengono all’uomo, a quel che accade quando si beve troppo e per i motivi sbagliati, al disastro culturale che porta un uomo a uccidere una donna, a un trattamento delle malattie nervose che deve fare ancora troppi passi in avanti, alla tremenda pressione sociale che reca con sé lo status di disoccupato, al dolore per una delusione amorosa che spesso muta in suicidio e a tanto altro ancora.

Wisconsin Death Trip

Cosa è successo a Black River Falls in quei dieci anni?
Non abbiamo risposte e, sebbene i mezzi che ho citato in precedenza possano spingerci a puntare il dito verso il clima, l’isolamento, l’alcolismo, la sensazione di straniamento e perdita di identità di molti immigrati, un pool genetico ristretto e altro, non ci sarà comunque mai una risposta sicura, dato che rende ovviamente ancora più bello il film.

È un torrente di dolore e sangue, venato di sottile umorismo, che non cessa mai di scorrere verso valle e che però, se durante un giorno o una settimana piove davvero troppo, piglia ed esonda, muta in fiume, in diluvio, in rovina epocale. E perde il suo colore naturale rossastro in favore di uno splendido bianco e nero.

WISCONSIN DEATH TRIP
1999, USA, colore e b/n, 76 minuti
Regia: James Marsh
Soggetto/Sceneggiatura: James Marsh da un libro di Michael Lesy


Archiviato in:Cinema Tagged: Amorica, Contagio, Dj Shadow, Fantasmi, James Marsh, Jinx Godfrey, John Cale, Michael Lesy, Natura Matrigna, Wisconsin Death Trip

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